Livorno, 28 ottobre 2021 – Oltre 90 “mai visti” delle collezioni civiche livornesi, ovvero opere e oggetti d’arte, antichi e moderni, che da molti anni erano “nascosti” nei depositi museali, andranno finalmente in mostra, sotto il titolo “Magazzini Generali”, dal 29 ottobre 2021 al 13 febbraio 2022 al Museo della Città di Livorno – Piazza [...]
Si inaugura Venerdì 31 luglio 2020 ore 21,00 presso il Museo Della Città di Livorno la mostra “Progressiva” Arti visive a Livorno dal 1989 al 2020.
Tre Opere del Maestro Ferdinando Chevrier, datate 1958, faranno parte della mostra “Progressiva” che si inaugura a Livorno il 1 Agosto 2020 presso il “Museo della Città”.
L’esposizione PROGRESSIVA, realizzata con [...]
Si inaugura sabato 17 marzo 2018 alle ore 16,30 presso il Museo di Arte Contemporanea e del Novecento di Monsummano Terme (PT) via Gragnani 349, la mostra
Ferdinando Chevrier
“Il gusto della forma e del colore“
L’esposizione viene presentata a Villa Renatico Martini, sede del Museo di Arte Contemporanea e del Novecento, dal 17 marzo al 24 giugno [...]
Alberto Veca
Ferdinando Chevrier (scarica pdf Ferdinando Chevrier Movimento Arte Concreta 1948-1958 )
La possibilità di rileggere oggi alcuni documenti espressivi dell’immediato secondo dopoguerra, in quella congiuntura limitata ma significativa che ha corrisposto al nome di ricerca “d’avanguardia” nell’ambito del concretismo riconosciutosi nel M.A.C., permette una breve riflessione sul nostro modo di intendere la storia stessa dell’espressione artistica, quando essa si presenti non nell’ordine della contemporaneità fra produzione e fruizione, quanto in quella sufficientemente privilegiata della distanza. Che è chiaramente punto di stazione “privilegiato”, quando cioè le urgenze immediate, le opere, gli atteggiamenti, anche i protagonisti contro cui o a dispetto di cui si è operato, si sono gradatamente e a volte anche traumaticamente dileguati.
L’opportunità di rivedere – anche osservare per la prima volta per la facilità con cui non si guarda a un passato anche recente in attesa di una qualche risolutiva “novità” – questo ciclo collezionato dal livornese Ferdinando Chevrier relativo agli anni a cavallo fra Quaranta e Cinquanta, nella coscienza di uno strappo rispetto alla tradizione, quella toscana oltretutto, ricca di continuità e regionalità riconosciute sia sul piano critico sia su quello mercantile, risulta da questo punto di vista particolarmente interessante.
E’ il caso cioè di valutare la “durata” a distanza di decenni di una ricerca ostinatamente e volutamente “contro” la tradizione, appunto quella congiuntura della “Avanguardia ” che oggi si vuole convenzionalmente considerare eredità del passato di fatto tramontata, verificarne la possibilità di permanenza indipendentemente dalla sparizione stessa dell’avversario. Un ragionamento se vogliamo fra aspetto “contingente” dell’operazione espressiva, quello cioè che ha legittimità all’esistenza in quanto risponde, come in una battuta di dialogo, alla presenza della precedente o della successiva, e una sua “autonomia”, una sua possibilità di vivere e essere recepita in quanto tale.
Questo non vuol dire che un lavoro ormai consegnato alle registrazioni della storia non possa essere letto indipendentemente dal suo contesto, anzi il caso in discussione, la collazione di una serie di dipinti di grandi e piccole dimensioni di Chevrier, che ha provocato le riflessioni iniziali, sembra suggerire immediatamente questo approccio, tanto le problematiche linguistiche messe in atto sembrano stringenti rispetto alla congiuntura attuale, satura di un interrogarsi sulla capacità dell’opera plastica a rappresentare che sembra inclinare verso un tragicomico, in quanto ripetuto, “ritorno all’ordine”.
Perchè il gioco di Chevrier allora – ma il rilievo potrebbe accordarsi anche al suo operare d’oggi- si basa su alcune elementari opposizioni, fra forma chiusa e forma aperta, fra colori organizzati in una tavolozza semplificata che ha il nero e il bianco come estremi frequentemente se non costantemente richiamati nella singola opera, che appartiene a buon diritto a un ragionamento plastico basato sulla pregiudiziale accettazione della lezione “concreta ” proposta dalle Avanguardie storiche fra le due guerre. Si tratta di un atteggiamento discriminante, spesso e in altri autori una stagione particolare, da superare, anche da rifiutare per una liberazione dall’ordine imposto: la disciplina messa in opera da Chevrier ha invece con felicità declinato un ragionamento di rigore e semplificazione delle forme e della cromia adottata utilizzando in modo determinante il principio della serialità, della ripetizione di un modulo abilitato a invadere l’intero campo dell’immagine.
Ma non si tratta certamente di una invasione “meccanica” di una iterazione automatica in quanto le singole cellule nel loro aggregarsi, modificano la propria fisionomia in relazione all’immagine complessiva risultante. Non si tratta allora dell’iterazione pura e semplice, ma di una correzione della forma, di un mutamento della costruzione complessiva che costituisce una delle soluzioni plastiche più interessanti nella storia della ricerca espressiva di questo secolo, affondando le proprie origini proprio in quel dibattito sul décor che appartiene alle origini del Movimento moderno, nel cuore della Mitteleuropa alla fine del secolo scorso che sembrerebbe così distante dal sentimento dei “concretisti” del tempo. Ma questa è riflessione all’oggi e non di ieri.
Il linguaggio di figura e di cromia che Chevrier impiega è allora alla “base” del fare immagine, una grammatica elementare di opposizioni di forme e di colore che provengono dalla sintesi di una esperienza pittorica che ha scelto e volontariamente cancellato le capacità illusionistiche della rappresentazione dello spazio realistico per un più decantato e ridotto interrogarsi sull’allusione alla profondità, al viaggio in una dimensione dello spazio che appartiene alla sfera mentale più che a quella della visione diretta della realtà.
Assenza e presenza, opacità e trasparenza, chiaro e scuro, leggerezza e pesantezza, figure dinamiche e statiche, definizione e continuità sono allora i termini elementari che vengono messi in atto tanto nelle grandi quanto nelle piccole composizioni, frammenti di una possibile invasione del campo percettivo che può andare dalla “miniatura” sulla parete alla decorazione ambientale.
A differenza di esperienze e ricerche successive sulla pregnante figura della “serie”, dell’immagine testurizzata in cui l’elemento modulare perderà la sua fisionomia cellulare a vantaggio di una lettura complessiva, gli esiti di Chevrier che abbiamo modo di leggere in questa occasione presentano una fisionomia facilmente individuabile in quanto la singola cellula conosce rispetto alle adiacenti una significativa alterazione in funzione dell’architettura complessiva, ponendosi come “momentanea” e provvisoria “buona figura” di un processo in divenire.
Il fare pittura può probabilmente, ieri come oggi, rubare alcune figure fotogeniche di questo processo.
Alberto Veca Milano 1995
da Enrico Bordoni,Ferdinando Chevrier, Rodolfo Costa Movimento Arte Concreta 1948-1958