Paola Cassinelli

Paola Cassinelli

“Ferdinando Chevrier Il gusto della forma e del colore” (scarica il pdf Ferdinando Chevrier e la ricerca dell_essere)

Ferdinando Chevrier nasce a Livorno nel 1920 e a 14 anni già lavora nella bottega del pittore post-macchiaiolo Renuccio Renucci per imparare i rudimenti dell’arte pittorica. Tornato dalla guerra nel 1946 si iscrive alla scuola d’Arte “Amedeo Modigliani”.

La sua prima formazione avviene nell’ambiente artistico della sua città infatti frequenta la Libera Accademia di Disegno e vive con entusiasmo e grande serietà l’arte figurativa che gli viene trasmessa in quell’ambito. I suoi esordi sono legati alla tradizione classica e soprattutto alla nobile arte del disegno che esercita con passione e grande maestria, ritenendo fondamentale l’uso del bozzetto per i suoi eccellenti risultati pittorici. Grazie a questa sua metodica e accurata maturazione artistica è possibile oggi avere una chiara lettura dell’evolversi dell’opera di Ferdinando Chevrier che, da ottimo interprete della cultura “macchiaiola”, si muove con curiosità e trasporto tra le numerose proposte intellettuali del Novecento. Un artista completo, attento, scrupoloso, capace di mescolare razionalità e immaginazione, senza banalizzare mai il suo operato per compiacere e soprattutto ricercando, trasferendo e sperimentando le proprie emozioni attraverso l’arte.

1949_Composizione Grafite + inchiostro su cartaPochi anni dopo il ritorno nella sua città, Chevrier conosce e frequenta Mario Nigro e Gianni Bertini, che lo stimolano a spingersi verso nuove proposte legate a esperienze e indagini artistiche astratte. Da questo importante sodalizio nasce un movimento coevo a quello della corrente astratta fiorentina, denominato Scuola del Tirreno, che si distacca dalle radici imposte dal gruppo del capoluogo toscano, indirizzandosi verso soluzioni grafiche, ma soprattutto concettuali, innovative. Nel 1950, con la redazione del Manifesto dell’Astrattismo Classico, l’esperienza di Arte d’Oggi si conclude mentre quella dei Pittori del Tirreno, si allarga e proprio in quegli anni verte verso la condivisione del loro pensiero artistico con intellettuali di una città particolarmente attiva, Milano, dove è presente un gruppo dinamico, operoso e molto eterogeneo, che si riunisce sotto il nome di M.A.C., Movimento Arte Concreta. Il M.A.C., oltre a promuove forme d’arte assolutamente non figurative, si costituisce come un movimento rivolto verso un astrattismo che non trae i propri elementi né le proprie forme dal mondo reale, dissociandosi dall’ambigua definizione dell’Astrattismo Classico Toscano che, al punto 5 del suo manifesto, si riconosce come un gruppo nel quale “[…] si può cogliere la fine della volontà di distruzione dell’oggetto e l’inizio di un intervento attivo e costruttivo, di una integrazione del reale”.


Chevrier si dissocia da queste regole e da molte altre che i diversi movimenti astratto/concettuali del XX secolo imponevano, in quanto il suo scopo era quello di lavorare in una condizione di totale libertà di pensiero, senza limitazioni o riserve, impegnandosi a costruire un linguaggio che fosse in grado di coniugare l’estetica con la dialettica, generando, attraverso l’immaginazione e l’intelletto, empatia e godimento armonico nell’osservatore.

1987_Paravento2000_OrologioPer questa ragione l’artista si costruisce uno stile personale orientato verso una ricerca determinata a sviluppare uno spiccato interesse per il contrasto delle forme e delle linee, che dovevano vivere simultaneamente la loro condizione: statica e dinamica, chiusa e aperta, regolare e irregolare, mutabile e immutabile. Tutto questo l’artista lo trasferisce, per il puro piacere del lavoro manuale, anche nella realizzazione di oggetti d’arredo, come paraventi, cassapanche, appendiabiti, lampade o indumenti quali sciarpe o foulard, o ancora bigiotteria smaltata con annessi portagioielli, addirittura in quadri da viaggio, tutto perfettamente riconoscibile poiché realizzato e decorato con forme e colori derivati dalle sue opere d’arte. Oggetti di design che nascevano dalla volontà di sperimentare, di creare anche in un ambito meno aulico, di progettare e realizzare manufatti unici che potevano colpire il gusto e la curiosità di un pubblico sempre più attento, dal dopoguerra, all’arredo dei propri interni familiari e principalmente introdurre l’arte, con semplicità e immediatezza, nella vita quotidiana. In questo caso Chevrier compie un importante atto di divulgazione, tipico di un uomo che sceglie, e soprattutto è in grado, di guardare al futuro, infatti, non molti anni dopo, questo atteggiamento diventerà una costante nel mondo della comunicazione artistica.

L’arte concreta e il suo concetto di “concretismo” adottato dai Pittori del Tirreno, e seguito da Chevrier con personale creatività, era stato elaborato da Max Bill nel 1936 e partiva dall’idea secondo la quale benché si trattasse di un’arte aniconica, come quella astratta, attingeva le sue fonti da forme, linee e colori elaborate dall’utopica e fantastica immaginazione dell’artista e non da processi di astrazione, scomposizione, distruzione delle immagini viste e assimilate nel quotidiano svolgersi degli eventi naturali.  In opposizione all’Astrattismo di Kandinskij, al Costruttivismo neoplatonico di De Stijl, al Suprematismo di Malevic, Gillo Dorfles, teorico del gruppo, asseriva che il movimento d’arte concreta andava alla ricerca di forme pure, primordiali e si allontanava dalle composizioni geometriche incentrate sul calcolo matematico e sulle proporzioni, basandosi su di un’arte interpretata unicamente sull’intenzionalità dell’artista.

Chevrier, partendo da queste considerazioni teoriche, utilizza inizialmente le forme geometriche pure, ma, in seguito, le induce verso soluzioni di carattere lirico dove prevale lo stato d’animo fantastico, il sentimento dello spazio come luogo della creatività dove anche la memoria assume un ruolo importante, dove le scelte formali mostrano legami sia col sapere scientifico che con le valenze poetiche del colore e della luce, dove il passato, sempre presente nel lavoro dell’artista, in quanto fulcro sul quale ergere i sogni per il futuro, incide fino a rendere palpabile un messaggio visivo. Le opere esposte nei vari eventi artistici della prima metà degli anni Cinquanta contengono questa particolare ricerca, atta a recuperare l’energia dei sentimenti più profondi, allontanandosi dalle forme stereotipate che secoli di arte figurativa avevano materializzato, come è possibile vedere nella Rassegna della pittura Astratta Italiana, alla Galleria  Bompiani di Milano, in Arte  Astratta e Concreta in Italia alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, in una mostra collettiva e una personale alla Libreria Salto, sede del M.A.C. a Milano, nella IV Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma, in Mezzo Secolo d’Arte Toscana, a Palazzo Strozzi a Firenze e soprattutto nella personale alla Galleria Numero, diretta da Fiamma Vigo che, come scrive Francesco Gurrieri, era considerato negli anni ’50 uno spazio particolare, “[…] un crogiolo, di giovani, intellettuali, irrequieti e anticonformisti, aperto ad esperienze e ricerche artistiche, letterarie, musicali, di assoluta avanguardia …” ed era soprattutto un luogo di sperimentazione e di confronto.

Scultura anni_60-70Scultura_anni_60-70Negli anni Sessanta Chevrier, sviluppa le sue ricerche di arte “concreta” rivolgendo un particolare interesse alle “antitesi”. Seguendo un’ideologia già proposta da Ad Reinhardt, Chevrier andava cercando un’arte astratta che non contenesse richiami narrativi, che non si assoggettasse a riferimenti recuperati dalla realtà che lo circondava e soprattutto che fosse scevra dalle allusioni emozionali riferite ad eventi tangibili e da uno spiccato culto dell’ego, un’arte che, secondo le teorie del periodo, potrebbe essere definita minimalista. Ciò che si recepisce dalle opere dell’artista livornese non è tuttavia minimalismo, bensì una ricerca continua di dinamismo di linee e di vortici, con segni e rette essenziali che si ripetono in slanci perenni, che si fondono con campiture di colore vivaci e caldi, sui quali, con il progredire della ricerca, si depositano masse di materia sempre più discrepanti e antitetiche, puntando sul concetto dell’equilibrio costruito sull’attrazione degli opposti. Il suo lavoro, tra la fine degli anni ’60 e gli inizi degli anni ’70, trova un interessante sviluppo anche in ambito scultoreo e infatti i diversi materiali assemblati per ottenere slanci e torsioni, si sviluppano con un linguaggio che si spinge verso una dinamica evolutiva, proiettata al raggiungimento di una sintesi, elaborata sulla costruzione di spazi unitari, che escludono la solidità e la consistenza dei volumi, come mostra il disegno Dinamica di un nucleo del 1960. L’intersecazione delle forme, che si ripetono all’infinito, permettono un passaggio della luce e dell’aria che alleggerisce l’opera e che non si risolve mai in luminismo, bensì in una circonvoluzione spaziale della ricerca cromatica. Le strutture sono infatti un alternarsi di vuoti e pieni, che traggono una forte energia dai materiali e dai colori, inseriti non per scopi estetici, bensì per ampliare il ritmo ininterrotto delle forme nello spazio, senza privare l’opera di equilibrio ed eleganza.

Scultura_anni_60-70_Con il suo linguaggio, calcolato ed equilibrato, l’artista si serve di sofisticate scelte cromatiche scoprendo, ogni volta, nuove relazioni fra un ordine di composizione logico-mentale e la variabilità delle parti essenziali dell’immagine, che incita ad innescare un processo attivo e dinamico di mutamento della forma, ma soprattutto del colore. Questa fase è il risultato di un periodo di evoluzione verso l’Informale, già sperimentato nel 1955, durante il quale l’artista adotta sia il registro iconografico geometrico che quello materico che resterà, fino alla morte, il suo schema compositivo reiterato, replicato e rinnovato come si può notare confrontando alcune opere in un rapido percorso visivo tra i dipinti Materico e Tra me e me entrambi del 1956, Al limite del 1966, Metamorfotico del 1972 e Un attimo prima del 1982: opere che mostrano il costante, strutturato e progressivo sistema evolutivo dello stile di Ferdinando Chevrier. Nel 1960 le opere di Chevrier vengono definitivamente investite da una dinamica trasformazione interna: le linee si trovano in una situazione di precario equilibrio e incentivano il movimento, generando forme perennemente mutabili. L’artista raggiunge un’estrema semplificazione del gesto e tende a sviluppare campiture rigorose, geometrie severe e assolutismo riduttivo della forma a favore della materia che diventa l’essenza del moto perpetuo. Questi concetti saranno evidenti anche in seguito nei dipinti Eventi possibili del 1975 o Frammenti vaganti del 1980, dove lo sfondo monocromo del quadro interagisce e assimila un vorticoso dinamismo, grazie agli elementi materici che costituiscono forme frammentarie, isolate e indecifrabili, all’interno dell’opera.

Scultura anni_60-70_Negli anni Settanta la tavolozza si arricchisce gradualmente nella gamma cromatica. La libera distribuzione delle linee si intensifica nella ricerca di un’utopica terza dimensione ed enfatizza l’incessante movimento attraverso avvolgimenti ed espansioni di spirali, anelli gorghi, vortici e mulinelli, che delimitano spazi che sembrano avanzare e indietreggiare simultaneamente. La linea retta conquista un’incontrollabile rapidità, e non viene proiettata verso luoghi fisici o mentali, ma spinta dalla forza costruita dalla gestualità dell’artista verso una profonda conoscenza dell’essenza delle cose, come si può osservare guardando con attenzione il dipinto a olio Paesaggio del 1976.  L’opera, infatti, non contiene alcun riferimento alla natura, e nemmeno rappresenta metaforicamente un ipotetico legame tra l’uomo e la realtà, ma è un’immagine che l’uomo Chevier trascina all’esterno dalla sua profonda e fantastica illusione, costruendo un luogo senza tempo. Dagli anni Ottanta l’artista prosegue la sperimentazione sulla dinamicità attraverso la gestualità espressiva del segno. I segni si ripetono, la riconoscibilità delle costruzioni agevola il colloquio fra l’artista e il suo pubblico, mentre il vivace, infinito e appassionato colore che si insinua come semplice sfondo, diviene una creazione cromatica che imprigiona l’osservatore, trascinandolo in atmosfere immateriali. Luoghi dell’etere plasmati grazie alla realizzazione di un tonalismo che emana fonti di luce, slegato da qualunque raffigurazione naturalistica degli elementi.

I toni si semplificano e puntano verso una loro assoluta essenzialità. Esiste un confine labile nelle pitture di Chevrier in cui il colore degli sfondi si mescola con le forme sovrastanti, senza perdere la propria identità: nasce una fusione proprio nella contrapposizione degli elementi pittorici, le sue campiture si pongono nude a cospetto dell’infinito che si riconosce nella terza dimensione e, sollecitata dal movimento delle masse materiche e delle linee dinamiche, si espande.

Scultura anni_ 60-70Chevrier stabilisce un dialogo tra l’opera e lo spettatore mostrandogli che l’arte è uno strumento che serve per penetrare negli strati più profondi dell’essere, generando e non raccontando, costruendo e non rielaborando, osservando, non per copiare o interpretare, ma solo per conoscere e per conoscersi. Ferdinando Chevrier muore a Livorno nel 2005 circondato, oltre che dai familiari, anche dai numerosissimi ricordi: documenti, fotografie, manifesti, oggetti creati e realizzati solo per il piacere di trovare nuovi stimoli. Di fondamentale importanza sono anche i due volumi composti nell’arco di una vita, tra il 1948 e il 2000, nei quali Chevrier ha raccolto, con scrupolosa attenzione, attraverso ritagli di giornali, i momenti fondamentali del suo lungo e importante percorso artistico, vissuto intensamente e con grande onestà, consapevole del valore e del ruolo importantissimo che l’arte nel XX secolo, con le sue Avanguardie e le Transavanguardie, avevano avuto anche a livello sociale, rivoluzionando continuamente le conoscenze e le certezze artistiche acquisite nei secoli dal pubblico.


Scultura anni 60-70L’opera di Chevrier non si conclude con la sua morte, numerosissime le mostre collettive e personali organizzate anche postume e fra queste merita ricordare la sua partecipazione nel 2007 all’evento organizzato a Milano a Palazzo Reale, Kandisnsky e l’astrattismo in Italia 1930-1950, e nel 2012 al Museo Civico di Chiusa alla mostra intitolata Il  superamento del vero.  L’Astrattismo. Di grande rilievo, anche per l’esposizione del Museo d’Arte Contemporanea e del Novecento di Monsummano Terme, Ferdinando Chevrier. Il gusto della forma e del colore, è la recentissima mostra realizzata nel 2017 presso la sede della Fondazione Livorno – Arte e Cultura, promossa e organizzata dal Presidente l’avv. Luciano Barsotti, Ferdinando Chevrier. Il movimento e la tensione. L’esposizione è curata da Elena Pontiggia, che si è avvalsa della consulenza tecnico-scientifica di Maurizio Chevrier, figlio del maestro e coordinatore della Associazione Archivi Legali Ferdinando Chevrier, ed è stata seguita da Costanza Musetti, responsabile della segreteria organizzativa della suddetta Fondazione.

Paola Cassinelli

da “Ferdinando Chevrier Il gusto della forma e del colore”, Pacini Editore 2018